L’insegnamento del canto è pieno di fraintendimenti, false credenze e convinzioni sbagliate dal punto di vista scientifico, e la ragione è presto spiegata: l’insegnamento del canto così come lo conosciamo noi nasce secoli fa, mentre la scienza della voce è una scienza relativamente molto giovane.
I primi insegnanti di canto, con la loro genialità, le loro intuizioni brillanti e il loro orecchio sopraffino, hanno creato e trasmesso un training che portava – e ancora porta – a dei risultati, ma che in assenza di fondamento scientifico ha anche assorbito luoghi comuni e false credenze.
Purtroppo nei secoli queste false credenze sono diventate, con i loro alti e bassi di popolarità, dei dogmi inconfutabili nel peggiore dei casi, dei paradigmi fonte di ispirazione nel migliore, e dall’opera dove sono nate sono state in grado di passare in generi musicali con esigenze stilistiche del tutto diverse, come il jazz, il pop e il musical theatre.
Ma se andiamo a vedere le ricerche scientifiche degli ultimi anni sulla voce, sul suono e sulla fisiologia, quanti di questi dogmi hanno un fondamento di realtà e una base di efficacia?
Di certo le false credenze in campo di pedagogia vocale sono parecchie, ma ho voluto selezionare le 10 che nella mia carriera degli ultimi anni ho dovuto confutare più spesso, fornendo spiegazioni e soluzioni alternative, che hanno dato risultati efficaci e immediati sia sui principianti che su performers di esperienza e chiara fama.
Nel sofisticato processo fisiologico che porta alla produzione vocale il respiro è solo una delle componenti; senza generalizzare, molti training si concentrano sul training respiratorio come se fosse punto di partenza imprescindibile del training vocale, proponendo un modo di respirare (sia esso diaframmatico o costo-diaframmatico o quant’altro) come l’unico giusto, e solitamente associando alla fonazione delle grandi quantità d’aria e alti livelli di lavoro muscolare. In realtà la faccenda non è così semplice.
In altre parole il respiro da solo non fa il suono, e se è vero che degli standard minimi di qualità nel respiro vadano rispettati, è altresì vero che il respiro da solo non migliora, né “imposta” il suono. Ciò che fa il suono, e che trasforma il respiro in un’onda sonora udibile, è in realtà nella laringe e nel vocal tract. Il controllo di queste strutture farà sì che il suono cambi, e non il controllo del respiro, su cui tra l’altro il nostro margine d’azione risulta essere estremamente limitato. Al respiro andrà semplicemente permesso di “aggiustarsi” alle diverse condizioni che incontrerà nella laringe e nel vocal tract (“Breath must be adjusted to what it meets on the way out”; McDonald Klimek, Obert, Steinhauer, “Estill Voice Training Level One: Figures for Voice Control Workbook”)
Vicina a questo principio sembra essere l’affermazione del Dott. Alfonso Gianluca Gucciardo (contenuta nel libro “Silenzio e Voce”) sulla necessità di “eucronizzare i ritmi della respirazione rispetto a quelli della fonazione e viceversa”, così come quando parla di voce come “puro soffio elastico, duttile, malleabile”
Il respiro cambia (e DEVE cambiare) a seconda del suono e di molti altri fattori che appartengono alla vita quotidiana, inclusa la postura. Ecco allora che Joan Lader, vocal coach di fama mondiale e vincitrice di un Tony Award, ma anche Estill Master Trainer e logopedista, nel 2016 scriveva sul “Voice Council Magazine”: “Worry less about breath, focus on alignment” (“preoccupati di meno del respiro, concentrati sull’allineamento”). Ma ancora prima, nel 2008, confermando i lavori di Jo Estill il Dr. Franco Fussi ed Elisa Turlà, nel loro libro “Il trattamento delle disfonie: una prospettiva per il metodo Estill Voicectaft” ponevano l’attenzione su queste differenze dei pattern respiratori in diversi generi musicali e vocali e concludevano che senza negare l’importanza di perseguire un corretto approccio alla gestione respiratoria, il training vocale imperniato sulla respirazione (definito “business educativo”, riportando le convinzioni di Jo Estill) così come quello logopedico che si basi solo su esercizi posturali e respiratori, sono inefficaci e sopravvalutati.
Anne-Marie Speed, di cui vado fiero di essere amico, collega e soprattutto studente, riassume brillantemente questo concetto nelle parole “L’aria è nemica del volume”.
Ma perché? Come già detto, non è l’aria a fare il suono, bensì ciò che accade nella laringe e nel vocal tract che trasforma la semplice aria inudibile in un’onda sonora udibile. Come avviene tutto ciò? Essenzialmente con la chiusura delle corde vocali e la loro resistenza all’aria. Quindi ciò che è essenziale per creare un suono è che le corde vocali si chiudano in maniera efficace e vibrino elasticamente sul flusso dell’aria. Questo meccanismo è magistralmente spiegato da Titze, che dopo averci spiegato la teoria mioelastica aerodinamica della fonazione, nel 2015 ha ribadito questo importante concetto in un articolo dal titolo “Breath is not the carrier of speech” (“Il respiro non è il vettore della voce”), in cui senza minimizzare il ruolo dell’aria come essenziale impulso primario per la voce, egli pone l’attenzione su come l’energia del respiro vada trasformata in energia acustica.
Nel 1974 Hirano ci ha presentato la sua “Body-cover theory”, in cui analizzando la struttura delle corde vocali ci ha anche indicato che in un ciclo vibratorio delle corde vocali (da quando si aprono a quando si chiudono), più lunga è la fase di chiusura e maggiore pressione sottoglottica sarà “raccolta”, determinando un suono più forte. Più spesse sono le corde vocali, più lungo sarà il tempo che impiegheranno ad aprirsi, producendo così un suono più forte.
Ma allora quanta pressione dell’aria è necessaria per azionare quel meccanismo vibratorio delle corde vocali che trasforma il respiro in suono? Molto poca, in realtà. Seikel, King e Drumright, nel loro “Anatomy and Physiology for Speech, Language and Hearing”, parlano di un minimo di 3-5 centimetri d’acqua per azionare la vibrazione delle corde vocali, mentre Kent e Read, nel loro “Acoustic Analysis of Speech” parlano di una pressione relativamente costante lungo tutto il parlato che va dai 6 ai 10 centimetri d’acqua. 1 cm d’acqua è la pressione esercitata da una colonna d’acqua alta un cm. Come Kent e Read stessi descrivono, per avere un’idea di quanto sia forte questa pressione basta immergere una cannuccia in acqua per quanti cm vogliamo testare la pressione, e soffiare il più delicatamente possibile nella cannuccia finché non appaiano delle bolle. Ad esempio, se immergiamo 3 cm la cannuccia in acqua e iniziamo a lasciare che l’aria esca delicatamente dalla nostra bocca, quando le bolle appaiono, la pressione del nostro respiro sarà maggiore di 3 cm d’acqua. Vi incoraggio a condurre questo esperimento e a rendervi conto di quanta poca pressione serva alle corde vocali per vibrare.
Ma quindi che succede se la pressione supera troppo queste soglie minime? Questo è il punto importante: le corde vocali devono lavorare di più per rimanere in contatto, dovendo lottare contro una pressione maggiore di ciò di cui hanno bisogno. A livelli molto alti di pressione le corde vocali potrebbero addirittura separarsi o rimanere in contatto per un tempo più corto, diminuendo di fatto il volume, e rendendo il suono anche parzialmente arioso o graffiato.
Estill Voice Training, insegnando il controllo del Body-Cover, ci dà esercizi semplici ed efficaci per imparare a variare il volume variando lo spessore delle corde vocali, senza creare eccessi di pressione dell’aria che potrebbero in realtà essere dannosi o controproducenti.
Provate a sollevare una sedia con pollice e indice con lo stesso lavoro muscolare con cui sollevereste una caramella. Nel migliore dei casi fallirete nel vostro intento e la vostra sedia rimarrà lì; nel peggiore, invece, nel tentativo di mantenere pollice e indice più rilassati di quanto è necessario, inizierete a coinvolgere altri muscoli, creando tensioni e usando strutture che non sono necessarie nel vostro intento. La produzione vocale funziona allo stesso modo: obiettivi e suoni diversi hanno bisogno di lavori muscolari diversi.
Il generico incoraggiamento a “rilassare”, dunque, risulta spesso troppo generico e inefficace. Rilassare cosa? Rilassare dove? Rilassare quanto?
Estill Voice Training, basandosi sul lavoro di S.S. Stevens, propone delle linee guida per trovare il lavoro più appropriato all’obiettivo, che si basa su 3 principi cardine: la localizzazione, la quantificazione e l’eliminazione delle tensioni estranee. Seguendo gli esercizi e le linee guida che vogliono raggiungere questi 3 obiettivi, si arriverà ad un utilizzo del lavoro muscolare che sia appropriato all’obiettivo ed efficace, che sia sufficiente ma non eccessivo, e che non coinvolga strutture inutili o tensioni, così che non ci sia bisogno di “rilassare”
Non dimentichiamo che i muscoli respiratori sono nel tronco e nel collo (alcuni muscoli del collo aiutano la gabbia toracica a sollevarsi durante l’inspirazione).
Anche i muscoli che sollevano e abbassano l’osso ioide e la laringe si trovano nel collo e alcuni di loro arrivano fino alle scapole, cioè nel tronco.
La connessione tra questi muscoli è di certo complessa e un’errata attivazione di essi può portare sia a problemi vocali che posturali. Ecco perché così tanta attenzione è tradizionalmente data al rilassamento del collo e ad una corretta postura nel canto.
Tuttavia EVT – Estill Voice Training, nei suoi esercizi per il controllo degli ancoraggi, uniti alle regole per monitorare il lavoro muscolare e agli esercizi per il controllo delle false corde, offre utili strumenti per sfruttare al meglio i vantaggi di una attivazione e un coinvolgimento – quanto necessario e in maniera flessibile – di questi utilissimi muscoli in grado di aiutare la gestione del respiro e fornire stabilità ai muscoli della laringe, in modo anche che possano lavorare in maniera più efficiente e senza sforzo.
Percepiamo note diverse quando lo strumento vibra a diverse velocità: più lo strumento (la sorgente, o “source”, se vogliamo essere precisi) vibra veloce, più acuta sarà la nota. Nel caso della voce, per raggiungere diverse note le corde vocali devono quindi vibrare a diverse velocità.
Così come le corde di un violino o di una chitarra – che se tese vibrano più velocemente ed emettono suoni più acuti – le corde vocali hanno bisogno di essere tirate per vibrare più velocemente e raggiungere note più acute.
Non molti sanno che in questo meccanismo l’altezza della laringe offre un aiuto fondamentale.
Infatti i muscoli estrinseci della laringe, ovvero quelli che la alzano e la abbassano, sono in grado di aumentare o diminuire la tensione delle corde vocali, così come spiegato benissimo in “Geography of the Voice” (Obert-Chicurel), un semplice quanto accurato atlante di anatomia delle strutture utili alla produzione vocale.
Un training che cerchi di evitare che la laringe si muova è in realtà controproducente e potrebbe portare a suoni calanti o maggiore sforzo vocale.
Tuttavia ci sono almeno un paio di ragioni, se non di più, del proliferare di questi training che incoraggiano un’unica posizione della laringe senza ammettere movimenti (soprattutto verso l’alto).
Innanzitutto una posizione molto alta della laringe potrebbe ricordare al corpo la deglutizione e innescare la chiusura della laringe a diversi livelli, inclusa la costrizione delle false corde, che porta a problemi sia sul suono che, potenzialmente, sulla salute vocale. EVT – Estill Voice Training però offre la soluzione a questo problema, insegnando la retrazione delle false corde. Lasciare che la laringe salga sulle note acute mantenendo un alto livello di retrazione delle false corde diventa così un comportamento pressoché privo di rischi.
C’è poi un’altra ragione per cui viene insegnato a non alzare la laringe, del tutto estetica: se la laringe sale il suono si schiarisce, e ciò potrebbe non essere appropriato per alcuni generi musicali.
La soluzione, tuttavia, risiede non nell’impedire i movimenti della laringe, ma nel limitarli nei generi musicali e qualità vocali che richiedono un’uniformità di colore tendente allo scuro. EVT – Estill Voice Training insegna a trovare un perfetto equilibrio tra altezza della nota e colore tramite diversi esercizi, prevalentemente il controllo dell’altezza laringea e la sirena.
Quando la lingua è rilassata tende ad occupare tutto lo spazio nella bocca, andando verso l’alto. Credere quindi che una posizione bassa della lingua sia rilassata è un errore.
L’abbassamento della lingua richiede un lavoro muscolare che potrebbe interferire con i movimenti laringei necessari per raggiungere le diverse note, impedendoli.
Inoltre i movimenti della lingua sono preposti a pronunciare tutte le vocali e buona parte delle consonanti; un eccessivo abbassamento della lingua potrebbe limitare questi movimenti e peggiorare la dizione, cosa che non accade quando la lingua è in una posizione alta e in avanti. Provate a concentrarvi sulla lingua di Maria Callas o Pavarotti mentre osservate i loro video e godete della loro estrema facilità sugli acuti e della loro dizione chiara e intellegibile.
Le false credenze sulle posizioni della lingua sono pressoché legate ai fraintendimenti sull’altezza laringea.
Le cavità nasali non sono vuote come si crede, e i tessuti al loro interno attutiscono le frequenze che danno volume al suono. Incoraggiare le vibrazioni facciali o “in maschera” potrebbe portare il cantante o l’attore ad indirizzare il suono nel naso diminuendone il volume anziché aumentarlo.
Vennard, tra gli altri, condusse ricerche a riguardo già nel secolo scorso, ma ormai questo principio è confermato da tutti gli studiosi di fonetica acustica.
La ragione di questo fraintendimento la troviamo già negli studi di Vennard, che sapientemente affermava di non essere tanto convinto dall’idea di “risonanza nasale”, nominando una nasalità in grado di “pinch” (pizzicare) il suono, detta “twang”, in alternativa ad una nasalità “honky”, che attutisce le frequenze responsabili della proiezione del suono. Studi successivi hanno evidenziato come il twang fosse in realtà prodotto nella laringe, e non sempre – ma spesso, da qui la confusione del concetto di “maschera” e “risonanza nasale” – associato alla nasalità. In molti accenti (alcuni accenti americani, ma anche alcuni italiani) e molti esercizi di canto i due meccanismi sono compresenti, e ciò ci fa erroneamente pensare che la “risonanza” e l’amplificazione del suono, ciò che Sundberg chiama “la formante del cantante” sia in realtà sempre associata, se non addirittura creata, nelle cavità nasali.
L’orecchio umano è particolarmente sensibile alle frequenze tra i 2000 e i 4000 Hz, quindi un suono che abbia un picco di energia acustica in questa banda di frequenze (che Sundberg definisce “la Formante del Cantante”) risulta più “proiettato” e parecchio udibile.
Questa banda di frequenze è amplificata quando nella laringe avviene la cosiddetta “contrazione dello sfintere ariepiglottico”, ovvero quando epiglottide e aritenoidi si avvicinano, senza però chiudere completamente la laringe come nella deglutizione.
Sebbene ci siano diversi studi in atto che cerchino di definire meglio diversi tipi di ottenimento di questa formante del cantante (o “twang”, per citare Vennard ed usare un termine caro a chi conosce l’EVT – Estill Voice Training), tutti concordano che il movimento avviene nell’epilaringe (parte alta della laringe) o al massimo nella faringe.
Come tutti i movimenti, soprattutto quelli che hanno lo scopo di aumentare il volume, il rischio di commettere errori è sempre presente. EVT – Estill Voice Training fornisce efficaci esercizi per effettuare questo movimento alle migliori condizioni, monitorando il lavoro e gestendo pressione dell’aria, body-cover, false corde, altezza laringea, lingua e molto di più, e insegna ad equalizzare questo tipo di risonanza, di amplificazione del suono, di brillantezza lungo tutto il range e in tutte le vocali.
In qualunque Paese e con chiunque mi trovi a lavorare, persino con performer che lavorano a Broadway, prima o poi accade che qualcuno mi dica che non può beltare, o che il suo belting non è sufficientemente forte, o brillante, o intonato, o comodo. Tralasciando tutti i casi in cui il performer di fronte a me sta cercando di applicare principi dell’opera al belting, senza riconoscere che suoni diversi hanno bisogno di movimenti e posizioni diverse (“if you want to sound different you must do something different”, Anne-Marie Speed dice sempre più o meno con queste parole a tal proposito), nella maggior parte dei casi l’errore è credere che qualunque suono che suoni “di petto” nel range alto sia belting. Non è così.
Innanzitutto vorrei far presente come l’equivalenza belting = voce di petto non sia condivisa da tutti. A mio avviso per avere una risposta definitiva dovremmo prima definire meglio i registri di petto e di testa da un punto di vista che non sia solo percettivo ma anche fisiologico e acustico.
Personalmente credo che la classificazione delle possibilità vocali nelle diverse parti del range in “petto, testa”, ecc è non solo imprecisa e confusa, ma anche estremamente riduttiva. Dal punto di vista fisiologico, sappiamo che al suono “di petto” è associato un certo meccanismo laringeo a livello delle corde vocali, ma in un continuum di spessori e tempi di contatto e interazione tra coppie di muscoli antagonisti (i tiro-aritenoidei e i crico-tiroidei) le possibilità sono molteplici, così come le diverse opzioni di movimento di strutture nel tratto vocale che ne cambiano forma e dimensioni.
Traducendo tutto ciò in termini più semplici ed immediati, esistono diversi modi di suonare “di petto”, diversi set up fisiologici della laringe e del tratto vocale, e non tutti sono ciò che dovremmo chiamare “belting”. Alcune posizioni suonano “di petto” ma non riescono a raggiungere volumi alti, altre lo fanno a fronte di un grande e dannoso sforzo muscolare, altre lo fanno compromettendo le caratteristiche acustiche tipiche del belting.
Jo Estill ci ha fornito una “ricetta” ben precisa per l’allenamento del belting ( o qualità “belt”) che lo differenzia da altre qualità vocali simili ma dal diverso set up fisiologico, come ad esempio lo speech, garantendo il massimo risultato in termini di volume con il massimo risultato in termini di “sicurezza” dal punto di vista della salute (ricordando sempre che ogni qualità vocale a volume forte è potenzialmente più stancante e rischiosa di una a volume piano).
Il dott. Gucciardo, nella postfazione al libro di Yva Barthélémy dal titolo “Liberare la Voce”, afferma che “un riscaldamento fatto male (per esempio, con i classici vocalizzi; essi non vanno demonizzati ma forse in molti casi andrebbero scelti sapientemente soltanto per chi li trovi utili) tende ad aumentare la faticabilità (e nondimeno l’affaticamento) del performer e a distruggere voci potenzialmente uniche e dalla grande spendibilità in carriera.”
Quando ci approcciamo al riscaldamento (e al raffreddamento) vocale dovremmo a mio avviso partire da un paio di domande fondamentali: 1) “Perché dovremmo scaldare la voce?” 2) “Che cosa scaldiamo in effetti quando scaldiamo la voce?”
Riflettendo su queste due domande, sono giunto alla personalissima conclusione che non esista un riscaldamento standard che vada bene per tutte le occasioni e per tutte le persone.
Qualche anno fa seguii in Sicilia un illuminante workshop del dott. Fussi sul riscaldamento vocale. I principi espressi durante il workshop dal dott.. Fussi, ovvero la gradualità, la fisicità e la corrispondenza del riscaldamento al genere musicale, uniti agli strumenti tecnici che EVT- Estill Voice Training mi fornisce, costituiscono per me le basi su cui costruisco di volta in volta riscaldamenti diversi a seconda della persona, della circostanza e del genere musicale o recitato.
Quasi mai questo riscaldamento comprende scale e arpeggi. Naturalmente nella “versatilità” e “adattabilità” del riscaldamento possono di certo rientrare anche scale e arpeggi se altri insegnanti li reputano necessari e sanno come utilizzarli. Ma il punto è che spesso si considerano scale e arpeggi adatti al riscaldamento solo in quanto “non canzone”. Ma ciò non basta: vocalizzi che tocchino subito note alte, eseguiti a volumi alti e magari in una qualità vocale non adatta al genere musicale che poi si andrà a cantare, e magari eseguiti anche per più di 15- 20 minuti possono risultare assolutamente controproducenti, stancanti, del tutto inutili se non addirittura dannosi.
Steinhauer, Klimek, Estill, “The Estill Model – Theory and Translation”
Mecorio, “EVT (Estill Voice Training) Introduction: General Principles, Six Estill Voice Qualities, and Different Approaches to the High Range in Speaking and Singing”, pubblicato in “KAVPA (Korean Association for Voice of Performing Arts) JOURNAL N. 3”(pagg. 49-58)
McDonald Klimek, Obert, Steinhauer, “Estill Voice Training Level One: Figures for Voice Control Workbook”
Joan Lader: http://www.voicecouncil.com/worry-less-about-breath-focus-on-alignment/
Alfonso Gianluca Gucciardo: https://www.gianlucagucciardo.it/2019/07/17/voce-blocco-respiro/
Alfonso Gianluca Gucciardo, “Silenzio e Voce”
Fussi, Turlà, “Il trattamento delle disfonie: una prospettiva per il metodo Estill Voicecraft”
Titze, “The Myoelastic-Aerodynamic Theory of Phonation”
Titze, “Breath is not the carrier of Speech”, pubblicato in “Voice and Speech Review”, Vol. 9, Numero 1.
Hirano, Minoru. 1974. “Morphological structure of the vocal cord as a vibrator and its variations“, pubblicato in Folia Phoni-atrica 26. 89-94.
Seikel, King e Drumright, “Anatomy and Physiology for Speech, Language and Hearing”
Kent, Read, “Acoustic Analysis of Speech”
S.S. Stevens, “On the Theory of Scales of Measurement”
Obert, Chicurel, “Geography of the Voice – Anatomy of an Adam’s apple”
Vennard, “Singing – the Mechanism and the Technique”
Albano Leoni, Maturi, “Manuale di Fonetica”
Sundberg, , “Articulatory interpretation of the ‘singing formant‘”, pubblicato in Journal of the Acoustical Society of America, 55, 838–844.
Biavati, Cavazzuti, “Belting e Mix: Emissioni a confronto”.
Alfonso Gianluca Gucciardo, Postfazione, in: Yva Barthélémy, Liberare la Voce, in stampa
Franco Fussi: https://www.voceartistica.it/it-IT/index-/?Item=Registri
Franco Fussi: https://www.voceartistica.it/it-IT/index-/?Item=registri%202010
Franco Fussi: https://www.francofussi.com/come-si-riscalda-la-voce/